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23 marzo 2007

Non possumus pericolosi

“I dogmi non devono essere fatti valere come tali, altrimenti le regole della democrazia si inceppano”. E’ il fulcro dell’intervento che Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, ha tenuto mercoledì 21 marzo presso il Salone dell’Unione culturale di Torino.

Gustavo Zagrebelsky, che è anche docente di Giustizia costituzionale all’Università di Torino, è intervenuto sul tema Non Possumus: la Chiesa divide la società?. Con lui don Ermis Segatti, docente di Storia del Cristianesimo alla Facoltà teologica di Torino e referente per la cultura e l'università della diocesi di Torino. Ha moderato il dibattito Ugo Perone, professore di Filosofia morale all'Università del Piemonte orientale.

Il Presidente emerito della Corte costituzionale ha sottolineato come il non possumus, l'editoriale recentemente pubblicato dall'Avvenire, organo ufficiale della CEI, “inciti alla disobbedienza civile dei cristiani”. Non all’obiezione di coscienza dunque, ma alla disobbedienza alla legge comune.

Secondo Zagrebelsky “quando si arriva ad incitare ad assumersi le proprie responsabilità nel non applicare la legge quando la si ritiene contraria ai dettami della natura, bisogna constatare che non c’è più il dialogo necessario alla convivenza costruttiva”.

Il costituzionalista tiene a precisare che “quando si parla di Chiesa, purtroppo, si semplifica troppo. La Chiesa è per fortuna fatta di tante cose”, e proprio per questo invita il mondo cattolico che non si riconosce nelle posizioni più radicali della Chiesa “a non tacere e venire fuori con una voce più chiara”.

Gustavo Zagrebelsky non risparmia nemmeno il mondo laico, che è anzi ciò che lo preoccupa di più: “sarebbe bene che anche dalla parte dei non credenti in una fede religiosa, si manifestasse l’intento a riconoscere, dal punto di vista del non credente, l’importanza straordinaria del mantenimento della cultura cristiana come fattore costitutivo della nostra società”. Il timore è che dopo il non possumus cattolico si manifesti anche un non possumus laico per difendere determinate posizioni.

La chiave per evitare ogni vincolo per i comportamenti delle persone, è il mantenimento di uno spazio di dialogo che garantisca il funzionamento delle istituzioni democratiche. “Le istituzioni democratiche, afferma Zagrebelsky, devono rispettare una posizione di neutralità tra le posizioni sostanziali che vivono nella società in modo che tutte possano vivere e possano manifestarsi”.

06 marzo 2007

Open source e software libero

Un mondo libero e stimolante. Questa è l’idea che ci si fa dell’open source e del software libero parlando con Sergio Margarita, direttore del LIASES (Laboratorio di Informatica Applicata alle Scienze Economiche e Sociali) dell’Università di Torino.

Prima di tutto una precisazione: «Il software libero prevede alcune libertà come ad esempio l’utilizzo, la possibilità di modificarlo per meglio adattarlo alle proprie esigenze, la possibilità di ridistribuirlo adottando la stessa licenza. Open source è un’etichetta diversa che prende il nome nel “sorgente aperto”, ovvero nella possibilità da parte di chi usa il programma di conoscere le istruzioni scritte dal programmatore. Si può dire che i software liberi sono più definiti sulla libertà, gli open source sulla tecnologia».

Open source quindi non è sinonimo di software libero, anche se può esserlo, e non è sinonimo di software gratuito. «C’è un po’ questo malinteso – spiega il Prof. Margarita – per cui se il software è libero o open source allora è sicuramente gratuito. In realtà questi software potrebbero anche essere venduti a pagamento, ma non potrebbero mai essere ridistribuiti in una versione “chiusa”, che non possa essere modificata o di cui non si conoscano i sorgenti. Quello che conta è la libertà, non la gratuità».

Oggi esistono programmi open source di eccezionale qualità. Per fare alcuni nomi tra i più famosi ricordiamo Apache (per i server) e OpenOffice.org, la più famosa e valida alternativa a Microsoft Office. Spiega il direttore del Liases: «Apache è decisamente superiore a tutti gli equivalenti commerciali, lo prova la sua presenza sull’80% dei server. Dal lato utente abbiamo invece OpenOffice.org, un insieme di programmi per l’ufficio di qualità decisamente comparabile a Microsoft Office». Anche la posta via web è un esempio di software libero, si vedano SendMail o Qmail.

Sergio Margarita ricorda inoltre che in Italia abbiamo una percezione diversa rispetto ad altri Paesi. «In Italia l’open source e i software liberi vengono visti come qualcosa che non si paga e si risparmia sulla licenza. Punto. Tant’è che da noi si consuma molto software libero ma se ne produce pochissimo. Si attinge a questa manna gratuita ma non si contribuisce ad alimentare il meccanismo. Negli USA o in Francia invece, in certe realtà, c’è la precisa volontà di produrre questi software. Anche Ibm, solo per fare un esempio, produce software liberi e li mette a disposizione di tutti».

Soluzioni “open” e soluzioni “proprietarie”: oggi se ne parla spesso in termini di “guerra di religione”, ricorda il Prof. Margarita, ma non si dovrebbe. «La presenza di entrambe queste realtà è stimolante per la competizione e quindi per la crescita della tecnologia. L’ultimo ambiente grafico di linux è uguale, come funzionalità, agli ambienti grafici di Windows, e già in precedenza faceva quello che oggi fa Windows Vista. Lo “scambio reciproco di esperienze”, se così vogliamo chiamarlo, esiste di sicuro». Un altro esempio sono le nuove funzionalità di Explorer 7, che riprendono per certi versanti Mozilla Firefox (il più diffuso browser web open source).

Perché allora i software liberi e gli open source non si diffondono velocemente? «Se si partisse da zero sicuramente sarebbe più facile fare delle scelte oggettive, ma quando si parte da una struttura già informatizzata la rigidità al cambiamento è molto forte. E’ una questione di mentalità e di una gestione dell’informatica che non è solo tecnica ma anche politica. A volte non si ha voglia di affrontare un processo di cambiamento molto impegnativo. Il metodo giusto, per andare nella direzione del software libero e dell’open source, è avviare un processo lento di migrazione, così come abbiamo fatto al Liases».

Al Liases sono presenti computer con il doppio sistema operativo e gli studenti possono far partire windows o linux a scelta. L’idea del Liases è di agire a 360 gradi: corsi di formazione sul tema dell’open source e didattica per l’esame di informatica fatta su programmi liberi. Il Liases rilascia anche la patente europea del computer (ECDL) e da tre anni è attrezzato per rilasciare le certificazioni per programmi liberi.

In cantiere c’è anche l’idea di far partire, nei prossimi mesi, un progetto per tutti gli studenti dell’università sul tema dell’ECDL open source. Ma se ci fosse qualcuno impaziente di testare questo mondo, ecco alcuni suggerimenti del Prof. Margarita: «Cominciate con gli applicativi liberi, Firefox, Thunderbird, OpenOffice.org, poi valutate il passo successivo: usare linux sul pc. Prima con un cd live, un ambiente linux completo che però non modifica né installa nulla sul pc. Poi, se vi piace e vi sentite pronti, riducete lo spazio dedicato a windows e installate in concomitanza linux. Ad ogni avvio potrete scegliere quale sistema usare».
Buona libertà a tutti.

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