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07 dicembre 2007

Una resex a Mangabal

«Nella foresta amazzonica lo spazio sembra infinito, ma di infinito non c’è nulla. Tranne l’avidità umana». È la conclusione di Claudia Apostolo, giornalista di Rai 3, dopo la sua esperienza a Mangabal, un’area della foresta amazzonica brasiliana grande all’incirca diecimila chilometri quadrati e abitata da un migliaio di persone che vivono in piccoli villaggi sulle rive del fiume.
A Mangabal Claudia si è trovata quasi per caso, guidata da un ricercatore dell’università di San Paolo, Mauricio Torres, che voleva mostrare a lei, ma soprattutto ad una telecamera italiana, cosa stava succedendo in quell’angolo dello stato del Parà, dove «l’appropriazione illegale del demanio pubblico, la deforestazione, la riduzione in schiavitù, l’intimidazione da parte dei latifondisti spalleggiati dalle autorità statali sono all’ordine del giorno, anche sotto il governo Lula», spiega la giornalista.

Lei e l’associazione di videoproduzioni Puntodoc erano lì, invitati dall’Ong torinese Mais, per documentare il progetto di cooperazione internazionale per lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento familiare chiamato Uirapurù, coordinato in Brasile da Luca Fanelli.
Durante un incontro sul tema del diritto alla terra e sulla difesa dalle grandi imprese, hanno conosciuto Mauricio Torres, che li ha guidati a Mangabal. Da questo viaggio fuori programma è nato il film documentario “A beiradeira e o grilador”, la donna del fiume e il ladro di terra, presentato a Cinemambiente lo scorso ottobre, a Torino.

«I riberinos, le popolazioni che vivono lungo i fiumi amazzonici, vivono con la foresta e la foresta vive con loro – racconta Claudia – è uno scrigno di biodiversità e una risorsa per il pianeta». Le popolazioni fluviali, e la foresta con loro, sono minacciati dai griladores, i ladri di terra. Latifondisti. Uno di questi, Lionel Babinski Marocchi, titolare della società Indussolo, reclama da 50 anni il possesso dell’area di Mangabal, grande, vale la pena ricordarlo, più o meno come l’Abruzzo. Negli anni ’70, infatti, la dittatura militare cedette enormi estensioni di territorio dando inizio ai programmi statali per l’occupazione dell’Amazzonia, descritta una “terra senza gente per gente senza terra”.
«Sradicare i nativi dalla loro terra contro la loro volontà – spiega la giornalista – significa deportarli. Senza sostentamento né legami perderanno il loro passato, e senza passato non potranno disegnare il loro futuro».

Il prezioso lavoro di ricerca di Maurìcio Torres e di Wilsea Figuereido, ha permesso di dimostrare, contro le pretese di Marocchi, che la popolazione di Mangabal vive nell’area da almeno 150 anni, e ha consentito al Ministério Publico (organismo federale che tutela le minoranze), e all’Ibama (isituto per l’ambiente e le fonti rinnovabili) di procedere all’istituzione di una ‘reserva extractivista’ (resex), unità di conservazione ambientale in cui le risorse forestali e fluviali vengono destinate alle popolazioni che ci abitano.
«Questa popolazione lotta per la propria sopravvivenza – spiega la giornalista Rai – la terra, per questa gente, non è un valore economico ma il luogo in cui vivono, dove seppelliscono i morti, dove educano i figli, dove si fanno la corte e si sposano». La resex è per loro come un’assicurazione sulla vita contro i grileros, i ladri di terra, i garimperos, che per estrarre l’oro avvelenano l’acqua, i madereiros, che abbattono la foresta, le grandi imprese industriali che saccheggiano le risorse dell’Amazzonia.

Il documentario si conclude con una Consulta Publica in cui i riberinos approvano, difronte a Felipe Fritz Braga, procuratore del Ministerio Publico di Santarem e a Nilson Viera, responsabile dell’Ibama del Parà, la costituzione della riserva. Tutti sono d’accordo manca solo la firma della Casa Civil, l’omologo della nostra presidenza del consiglio.
Questa firma manca ormai da un anno, gli atti sono fermi sulle scrivanie del ministero delle risorse minerarie perché in quelle terre ci sono aree di estrazione della bauxite ed è già in progetto una diga che dirotti il fiume di 20km, ci sono risorse tradizionali come il legname, servono pascoli e campi di soia che nutrano la zootecnia in Europa e in America.
Mauricio Torres è venuto a Torino, a Cinemambiente, per parlare coi giovani presenti alla proiezione del documentario. Per lui, Claudia Apostolo, Puntodoc e Mais la storia non può finire qui: «E’ difficile mettere un cartellino del prezzo – conclude la giornalista – non so dire quanto vale aiutare l’Amazzonia, ma sono convinta che siamo, inevitabilmente, tutti coinvolti. Questo è un piccolo esempio del conflitto ambientale che si sta moltiplicando e che esaspera il conflitto tra il dio mercato e la vita quotidiana».

Il primo passo sarà continuare a parlare di Amazzonia e degli italiani che ci lavorano e che credono nell’importanza dell’autodeterminazione dei popoli. A marzo e ad aprile si pensa ad un ciclo di lezioni e proiezioni di altri video del progetto Uirapurù. Infine si tenterà di coinvolgere maggiormente l’università per far sì che la storia di Mangabal non si cristallizzi nelle menti come un fatto episodico, ma diventi emblema di quanto accade in Brasile. Brasile che è, ricorda Claudia Apostolo, «primo partner economico dell’Italia».

06 dicembre 2007

Ci vediamo una settimana fa

Che cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più.
Citazione d'obbligo di Sant'Agostino, che nel libro XI delle Confessioni esprime un cruccio non ancora superato: la difficoltà di rendere conto di quelle che vengono chiamate “comprensioni pre-teoriche”. Il concetto di tempo è una di queste. Ribadisce la professoressa Elisa Paganini, filosofa del linguaggio all'università di Milano: «Ogni volta che il filosofo cerca di spiegare con parole comuni il tempo, gli mancano inevitabilmente i termini, incappa in circoli viziosi, nascono paradossi».

Il “divenire” ad esempio, quel passare dall'essere passato, all'essere presente, all'essere futuro, come spiegarlo? Come spiegare che il povero gatto Tibbles, che alle 8 del mattino ha la coda, ma a mezzogiorno dopo un incidente non ce l'ha più, è lo stesso gatto? Traducendo queste situazioni nella logica modale, se ne ricava inevitabilmente una contraddizione.
«I 'quadridimensionalisti' – spiega Giuliano Torrengo, dottore di ricerca al Laboratorio di ontologia di Torino – risolvono il problema dicendo che ogni oggetto ha quattro dimensioni: una di queste è costituita dalle sue 'parti temporali'». Nessuna crisi d'identità dunque per il povero Tibbles: perdendo la coda ha solo variato la sua quarta dimensione.

«Risolvere tali questioni significa spiegare le nostre intuizioni e rendere conto del nostro linguaggio», continua la professoressa Paganini. Le nozioni temporali non sono immediate, si pensi ad esempio all'uso che fanno i bambini di termini come “domani” o “ieri”: per loro “ieri” può essere accaduto quattro giorni fa. Solo crescendo costruiranno lo schema temporale condiviso.

Se poi potessimo davvero viaggiare nel tempo? Dovremmo abituarci a frasi come “Ci vediamo una settimana fa”, oppure “è stata divertente la cena di dopodomani”. Chiunque abbia dimestichezza con la saga Zemeckiana di “Ritorno al futuro” troverà poi sufficientemente familiare il cosiddetto paradosso del nonno: un nipote torna indietro nel tempo e uccide il suo avo prima che possa avere una discendenza. Come può allora il nipote essere nato, aver viaggiato nel tempo, e aver ucciso suo nonno?
E' per evitare questo paradosso che Emmet 'Doc' Brown spiega a Marty che non deve mai farsi vedere da sé stesso, né intervenire nella vita dei suoi antenati. E lo stesso fa il professor Zapotec con Topolino e Pippo, instancabili viaggiatori nel tempo alla scoperta di misteri insoluti. I teorici della realtà di più mondi possibili, non lo troveranno invece paradossale, visto che per loro ogni evento produrrebbe un nuovo universo parallelo in cui la storia si evolve in maniera indipendente. Pippo resta però categorico: non vede come potrebbe alterare il passato con il suo viaggio, dato che il viaggio stesso è già accaduto. Altrimenti detto: la legge della causalità non può essere violata.

Questa “metafisica da poltrona” (la più comoda di cui il filosofo possa disporre, naturalmente) ha una sua ragion d'essere, giura Torrengo: «l'esperimento mentale, l'esplorazione concettuale di situazioni immaginarie è in grado di rivelare alcune delle caratteristiche della realtà cui apparteniamo, qui ed ora».

Se nella realtà, almeno così sembra, non dovremmo ancora preoccuparci dei viaggi nel tempo, potremo pur sempre parlare del tempo delle narrazioni. Il professor Ugo Volli, semiologo dell'Università di Torino, spiega che «noi umani facciamo fatica ad accettare un tempo ripetitivo, sempre uguale. Abbiamo bisogno di un tempo che abbia un senso, ovvero, che abbia sia un significato, sia una direzione».
«La tecnologia che possediamo per rendere il tempo meno omogeneo, sono le storie», continua il professore, «la musica ad esempio, produce una domanda, che è la tonalità, e si sviluppa cercando di dargli una risposta. Questa risposta è però costantemente rimandata, c'è sempre un'attesa verso la soluzione sulla tonica. Così è per la letteratura e per il cinema di genere: nei gialli sappiamo già che l'investigatore troverà l'assassino». Questa “struttura dell'attesa”, secondo Volli, è caratteristica di tutte le forme dell'intrattenimento della cultura europea.

Non ci resta quindi che ammazzare il tempo riguardandoci “Ritorno al futuro”.

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