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07 maggio 2009

La Nuvola Bianca e il processo all'amianto

“Io voglio sperare, io non voglio aver paura”. La fermezza dello sguardo di Romana Blasotti ha molto da insegnare. Cinque persone a lei care, il marito, la sorella, un nipote, un cugino e infine la figlia, sono morte a causa dell'amianto lavorato a Casale Monferrato. Lei no. Ha paura di morire? Non vuole aver paura, Romana. Questa volontà e un dovere nei confronti dei propri cari defunti ed è il motore che ha spinto trent'anni di lotte per bandire una materia prima ancora largamente lavorata nel mondo: l'amianto.
“Lo dobbiamo ai nostri morti” è una frase ricorrente per i sopravvissuti di Casale. E' stata ricordata una volta di più da Alberto Catalano, membro dell'Associazione Familiari vittime dell'amianto, mercoledì sera, a Torino, durante il dibattito seguito allo spettacolo “La nuvola bianca”, scritto da Alessandro Cappai e messo in scena da Faber Teater. Una lettura drammatica che parla di come l'Eternit fosse dramma e risorsa di Casale (“qui ti danno l'olio in regalo, a Natale”), di come la polvere assomigliasse tanto “alla nebbia a fine settembre sulle nostre colline”. Di come l'Eternit per i lavoratori fosse come trovare l'America: “Ti pagano di più, per la polvere e per partire in Sudafrica o in Svizzera”.

L'incontro è stato organizzato dai giovani democratici della Provincia di Torino. Un centinaio i partecipanti, una trentina di loro venuti più per far numero che altro (a dimostrazione il loro continuo guardare i cellulari, l'alzarsi e tornare, il rispondere al telefono dalle poltrone).
Lo spettacolo è stato preceduto dai saluti del presidente della Provincia Saitta, che ha ricordato la costituzione di parte civile della Provincia di Torino al processo contro i vertici della multinazionale svizzera, per lo stabilimento di Cavagnolo. “Non si tratta di vendetta – ha spiegato il presidente uscente – ma si tratta di darsi la possibilità di porre il problema della sicurezza durante il processo. La difesa della salute e della vita devono essere compatibili con il profitto”.
C'erano molti giovani, sì, peccato fosse una platea politica e che gli interventi fossero più mirati al comizio pre-elettorale che al problema amianto. Mi chiedo a che serva una propaganda politica verso un pubblico amico. Ma l'aver inserito il dibattito in un incontro di partito è, in fondo, un demerito? Per l'Associazione vittime amianto è un quesito che non ha molto senso: “Noi andiamo dappertutto, l'importante è che se ne parli”, ha detto Bruno Pesce, coordinatore dell'Associazione Familiari vittime dell'amianto, intervenuto alla serata con la signora Blasotti, che ne è il presidente, e Alberto Catalano.

Sono partiti da Casale apposta per incontrare tutti i giovani che han voluto (o dovuto) partecipare all'incontro, e sperano che il messaggio più importante sia passato e venga diffuso: l'amianto non è una storia di ieri, non è un problema lontano nel tempo e nello spazio (la fibra killer si lavora a pieno ritmo in Brasile, Corea del Nord, Thailandia, India...), ma riguarda molto le nuove generazioni. Non solo perché il picco di mortalità non è ancora stato raggiunto (le fibre di amianto posso restare latenti nei polmoni anche per 30 o 40 anni), ma anche perché discariche con la polvere lasciata libera, luoghi pubblici non bonificati sono nascosti o stanno in punti che la memoria ha rimosso. Insomma, serve un patto generazionale che porti i giovani a farsi carico dell'eredità di questa lotta.

Pesce l'ha riassunta ancora una volta, questa lotta, per le giovani orecchie attente rimaste fino alla fine dell'incontro, una lotta culminata con l'apertura del processo contro la multinazionale svizzera Eternit, attualmente nella fase delle udienze preliminari a Torino.
Le prime due fasi della battaglia trentennale hanno coinciso con il movimento operaio. La prima, tra gli anni '50 e '60 del '900, in cui le cattive condizioni di lavoro venivano usate come argomento nella lotta per l'aumento del salario. “Allora era impensabile che si mettesse in discussione l'organizzazione del lavoro o l'uso della materia prima”, ha ricordato Pesce. La seconda fase è coincisa col '68 e il '69, premessa per il rinnovamento della società che ha portato nel 1970 allo statuto dei lavoratori. “Il movimento sindacale ebbe una spinta enorme, ci furono grandi conquiste, venivano effettuati le prime rilevazioni sulle aziende, i primi monitoraggi ambientali”. Poi la crisi negli anni '80, la batosta Fiat: “E' cominciata a diminuire in modo inesorabile l'attenzione per la tutela dei lavoratori. Noi invece siamo passati alla terza fase”. La sentenza del 1983. E' cominciata la conta dei morti anche tra i cittadini che alla Eternit mai avevano messo piede. Tra il 2000 e il 2006 l'abbattimento dello stabilimento di Casale, la bonifica è al 50%.
“Di tutto questo noi non facciamo un vanto – ha concluso Romana Blasotti – ma la consideriamo un'importante conquista. Resta molto doloroso pensare ai nostri cari come a dei fantasmi. A volte già come dei fantasmi viventi”.

Il bello, il brutto e il candidato

Che un candidato sia bello o brutto, che abbia la laurea o la terza media, sinceramente, macchissenefrega. Interessa ancora meno che abbia fatto o no "gavetta" nelle sezioni di partito (tanto di gavette in Italia ognuno se ne fa un tot, è un po' il terzo sport nazionale, dopo il calcio e il lamento).
Da un candidato ci si dovrebbe aspettare una cosa sola: che abbia uno straccio di pensiero politico. Chicchesia vuole chiedere un posto alla Camera? Benissimo. Una sola domanda gli si deve fare: la tua politica quale sarà?
Ad Annozero, mercoledì 6 maggio, Alexander Stille voleva sollevare uno dei tanti grandi problemi che stanno affliggendo il nostro paese: lo spostamento della soglia dell'abuso di potere. Intervento soffocato sul nascere, chissà perché.

Quella qui sotto è puBBlicità