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16 maggio 2008

Quei conti in classe restano un incubo

«Gli adolescenti italiani non vanno bene in matematica perché non si prendono il tempo di imparare a pensare». Vera Tomatis è vice preside della scuola media di Fossano e la sua analisi arriva dopo 31 anni dietro la cattedra. «Il problema più grande è la memoria – spiega – la matematica richiede l’apprendimento delle regole, ma oggi è molto più diffi cile fare imparare ai ragazzi nozioni mnemoniche».

A confermare la carenza degli studenti italiani nella cultura matematica è stato il rapporto Ocse 2007. L’indagine internazionale promossa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico per accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati, mette l’Italia al trentottesimo posto. «La mamma quando lavava i piatti mi chiedeva le tabelline – ricorda Tomatis – perché un bambino non può apprendere da solo una metodologia. E va sfatato
il mito che la matematica non si studia. Non è una materia “semplicemente” da capire, ha un suo linguaggio, le regole che la sostengono vanno imparate».

Sempre secondo il rapporto dell’Ocse gli allievi italiani tra i 12 e i 14 anni dedicano allo studio della matematica il 10% del tempo, la media dei Paesi analizzati è del 13%, con un picco del 15% in Francia. L’analisi dell’apprendimento nella fascia adolescenziale è importante perché «ci sono regole mnemoniche e concetti che si devono imparare da piccoli – spiega l’insegnante – provare a farlo dopo è estremamente difficile, quando non impossibile». Secondo Vera Tomatis l’altra enorme carenza che si riscontra negli adolescenti che approdano nella scuola media è il calcolo, che come conoscenza preliminare presuppone, appunto, le tabelline.

«Il problema dei ragazzi di oggi – conclude Tomatis – è che non sono abituati a fermarsi, né a riflettere. Lavorano di getto, fanno tutto e subito o non fanno. Il compito della scuola, e della matematica in particolare, è invece quello di insegnare loro a pensare prima di fare».

Ai giovani aspiranti insegnanti, la vicepreside di Fossano vuole fare un appello: «Puntate molto sul calcolo, i ragazzi devono imparare a contare perché è un supporto indispensabile per i loro studi futuri. L’uso di strumenti informatici, poi, è importantissimo, gli adolescenti se lo aspettano. L’insegnante deve dimostrare di essere al passo coi tempi, altrimenti è finito. Senza contare che questi nuovi supporti didattici possono ridurre di molto i tempi di apprendimento».

Non si deve infine aver paura di chiedere aiuto alle famiglie: la formazione di base non può venire interamente delegata alla scuola, anche se, riconosce Tomatis, «dove gli insegnanti si spendono, sono puntuali a scuola e nelle consegne dei compiti, anche i ragazzi sono più motivati. Il modello che si propone è fondamentale». L’abilità dell’insegnante sta nel saper usare le tecniche più adeguate per raggiungere l’obbiettivo proprio della matematica: ovvero quella materia fondamentale per imparare a pensare.

11 maggio 2008

Widgets, nuovi post-it virtuali

Il desktop è mio e me lo gestisco io. Come dire: non tutti abbiamo le stesse esigenze, nemmeno in materia di informatica. Per venire incontro alla nuova era delle scrivanie virtuali personalizzate esistono i “widgets”. Il loro nome deriva dalla contrazione di “window” (finestra) e “gadget”, e sono degli elementi minimi di implementazione del sistema operativo oppure dei piccoli programmi che vanno ad arricchirlo. “Web widgets” sono invece piccole applicazioni web che permettono ai publisher online di distribuire in maniera semplice i loro contenuti integrandoli in blog ed altri siti.

Il primo sistema operativo che è stato possibile implementare con i widgets è stato Tiger (quinto aggiornamento principale di Mac OS X, della Apple), mentre il primo blog che ha permesso agli utenti di personalizzare il layout del proprio diario in rete è stato wordpress. A crearli sono degli stessi utenti che, con un minimo di conoscenze del linguaggio di programmazione, li sviluppano e poi li passano alle aziende interessate oppure li mettono in condivisione online. A questo punto qualsiasi utente può scaricarli e posizionarli dove vuole sul proprio desktop. Lo stesso si può fare nelle scrivanie virtuali come iGoogle o la home page di Windows Live o della Bbc.

«I widget si possono dividere in due categorie – spiega Andrea Toso, docente di informatica e nuovi media - quelli in modalità “push”, che sono una proposta editoriale standard delle aziende, e quelli in modalità “pull”, che l’utente può scaricare sul proprio desktop o sul proprio cellulare scegliendoli secondo le proprie esigenze». L’iPhone, sempre di Apple, permette un alto livello di personalizzazione sempre grazie ai widgets: «I nuovi sistemi operativi saranno sempre più virtuali, per questo i widgets prendono piede – continua Toso – ed è una buona notizia, signifi ca che la nuova tendenza dei sistemi operativi è quella di fornire sono le utilità di base, lasciando il resto alla creatività degli utenti».

Troviamo così dei programmini più o meno utili che ci permettono di capire come diminuire il consumo di Co2 del nostro computer (co2saver.snap.com), magari mostrando in tempo reale quante migliaia di alberi stiamo salvando (www.localcooling.com).
Google, Mac e Windows hanno naturalmente le loro pagine dedicate (www.google.it/ig/directory, www.apple.com/it/downloads/dashboard, gallery.live.com).
Anche la città di Torino si sta dotando di propri widgets: le notizie in evidenza, gli ultimi appuntamenti in diretta da Torinocultura, le informazioni sul traffi co e sui mezzi pubblici in tempo reale, le agenzie quotidiane di informazione (TorinoClick e cittAgorà), il meteo, le curiosità, e altro ancora. Per saperne di più: www.comune.torino.it/web20.

09 maggio 2008

L'arte diventa business

Avete nel cassetto un business plan culturale ma non sapete quali fondi potrebbero aiutarvi? Volete sapere come gestire al meglio il vostro evento con il minimo dispendio? Allora avete bisogno di un manager culturale. Per essere più precisi, di un “razionalizzatore del sistema”.
Secondo Manuela Lamberti, anima del master “Destinazione Cultura”, dedicato a chi manager culturale vuole diventarlo: «C’è grande bisogno di queste figure, di questi gestori della complessità. Serve qualcuno che possa cercare un bando per ottenere fondi mentre, nello stesso momento, cerca chi cambi le lampadine. Insomma, una persona che sappia esattamente cosa serve per gestire il sistema che ha tra le mani».

Destinazione Cultura” è un master di I livello in economia e management della cultura giunto alla sua seconda edizione, in cantiere però c’è già la terza. In seno alla Scuola Universitaria di Management d’Impresa dell’Università di Torino, per 12 mesi, poco meno di una decina di studenti hanno la possibilità di confrontarsi, oltre che con i docenti universitari, anche con, solo per citarne alcuni: Agostino Re Rebaudengo, presidente del Teatro Stabile di Torino fino al maggio 2007 e attualmente presidente e amministratore delegato di Asja, multinazionale del settore delle energie rinnovabili; Steve Della Casa, direttore del Torino film Festival dal 1999 al 2002, critico cinematografico per la Rai e La Stampa, attuale presidente della Film Commission Torino-Piemonte; Gabriele Ferraris, direttore di Torino Sette.

«Cercavo un master che riguardasse la cultura – racconta Silvia Vezzoli, studentessa della prima edizione – ho scelto questo perché si differenziava molto rispetto alle offerte formative delle altre università, mi è sembrato innovativo e non mi sono pentita. Anche le docenze non universitarie, che hanno portato all’interno delle lezioni esperienze di lavoro quotidiano, hanno favorito un approccio più reale alla materia». Silvia, come gli altri sei suoi compagni, ha dimostrato che l’ambizioso obbiettivo di Manuela Lamberti («I nostri studenti devono acquisire competenze diverse da tutti gli altri, e durante i loro stage devono diventare insostituibili per l’azienda») non è solo una chimera: tutti e sette sono stati riconfermati dopo lo stage.

Al master gli studenti imparano a conoscere i meccanismi labirintici della Siae, i diversi tipi di contratti, il management degli enti e degli eventi culturali, la gestione delle risorse umane, dove trovare e come gestire i finanziamenti pubblici e privati, le relazioni pubbliche e la comunicazione con le diverse testate giornalistiche, il diritto dei beni culturali e degli enti no profit.
Potrà sembrare una visione poco “romantica”, ma è di certo molto più realista, lo ribadisce anche Gabriele Ferraris, comunicatore culturale di lunga data: «Non è un destino ineluttabile che la cultura sia in perdita, anzi. Da Leonardo a Kubrick esistono fior di esempi che dimostrano il contrario. Se non fosse così solo i ricchi potrebbero occuparsi di cultura, ma è bene ricordare che
una delle più grandi opere della storia, la Comedie humaine di Balzac, è stata scritta per pagare dei debiti».

Usando le parole di Manuela Lamberti, servono quindi professionisti, e se è vero che nessun lavoro si improvvisa quello del manager culturale non sfugge alla regola. Non per niente i testimonial delle scorse edizioni del master sono stati Gabriele Lavia e Luca Barbareschi, personalità estremamente poliedriche: Lavia, attore e regista sia cinematografico che teatrale, negli anni ‘80 è stato co-direttore artistico del Teatro Eliseo di Roma e dal 1997 al 2000 direttore artistico dello stabile di Torino; Barbareschi, in trent’anni ha spaziato tra teatro, cinema e televisione in qualità di attore, produttore, regista, sceneggiatore e conduttore, socio fondatore anche di una società informatica oltre che della casa di produzione Casanova Entertainement, è stato eletto deputato nelle fila del Pdl alle ultime elezioni politiche.

Per entrare nella rosa dei futuri manager, sotto l’ala protettrice del nuovo testimonial, Neri Marcoré, si dovranno sostenere tre prove scritte e un colloquio, il tutto individualmente. Lezioni dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13, costo 10mila euro comprensivi di tutte le attività previste e del materiale didattico.

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