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06 dicembre 2007

Ci vediamo una settimana fa

Che cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più.
Citazione d'obbligo di Sant'Agostino, che nel libro XI delle Confessioni esprime un cruccio non ancora superato: la difficoltà di rendere conto di quelle che vengono chiamate “comprensioni pre-teoriche”. Il concetto di tempo è una di queste. Ribadisce la professoressa Elisa Paganini, filosofa del linguaggio all'università di Milano: «Ogni volta che il filosofo cerca di spiegare con parole comuni il tempo, gli mancano inevitabilmente i termini, incappa in circoli viziosi, nascono paradossi».

Il “divenire” ad esempio, quel passare dall'essere passato, all'essere presente, all'essere futuro, come spiegarlo? Come spiegare che il povero gatto Tibbles, che alle 8 del mattino ha la coda, ma a mezzogiorno dopo un incidente non ce l'ha più, è lo stesso gatto? Traducendo queste situazioni nella logica modale, se ne ricava inevitabilmente una contraddizione.
«I 'quadridimensionalisti' – spiega Giuliano Torrengo, dottore di ricerca al Laboratorio di ontologia di Torino – risolvono il problema dicendo che ogni oggetto ha quattro dimensioni: una di queste è costituita dalle sue 'parti temporali'». Nessuna crisi d'identità dunque per il povero Tibbles: perdendo la coda ha solo variato la sua quarta dimensione.

«Risolvere tali questioni significa spiegare le nostre intuizioni e rendere conto del nostro linguaggio», continua la professoressa Paganini. Le nozioni temporali non sono immediate, si pensi ad esempio all'uso che fanno i bambini di termini come “domani” o “ieri”: per loro “ieri” può essere accaduto quattro giorni fa. Solo crescendo costruiranno lo schema temporale condiviso.

Se poi potessimo davvero viaggiare nel tempo? Dovremmo abituarci a frasi come “Ci vediamo una settimana fa”, oppure “è stata divertente la cena di dopodomani”. Chiunque abbia dimestichezza con la saga Zemeckiana di “Ritorno al futuro” troverà poi sufficientemente familiare il cosiddetto paradosso del nonno: un nipote torna indietro nel tempo e uccide il suo avo prima che possa avere una discendenza. Come può allora il nipote essere nato, aver viaggiato nel tempo, e aver ucciso suo nonno?
E' per evitare questo paradosso che Emmet 'Doc' Brown spiega a Marty che non deve mai farsi vedere da sé stesso, né intervenire nella vita dei suoi antenati. E lo stesso fa il professor Zapotec con Topolino e Pippo, instancabili viaggiatori nel tempo alla scoperta di misteri insoluti. I teorici della realtà di più mondi possibili, non lo troveranno invece paradossale, visto che per loro ogni evento produrrebbe un nuovo universo parallelo in cui la storia si evolve in maniera indipendente. Pippo resta però categorico: non vede come potrebbe alterare il passato con il suo viaggio, dato che il viaggio stesso è già accaduto. Altrimenti detto: la legge della causalità non può essere violata.

Questa “metafisica da poltrona” (la più comoda di cui il filosofo possa disporre, naturalmente) ha una sua ragion d'essere, giura Torrengo: «l'esperimento mentale, l'esplorazione concettuale di situazioni immaginarie è in grado di rivelare alcune delle caratteristiche della realtà cui apparteniamo, qui ed ora».

Se nella realtà, almeno così sembra, non dovremmo ancora preoccuparci dei viaggi nel tempo, potremo pur sempre parlare del tempo delle narrazioni. Il professor Ugo Volli, semiologo dell'Università di Torino, spiega che «noi umani facciamo fatica ad accettare un tempo ripetitivo, sempre uguale. Abbiamo bisogno di un tempo che abbia un senso, ovvero, che abbia sia un significato, sia una direzione».
«La tecnologia che possediamo per rendere il tempo meno omogeneo, sono le storie», continua il professore, «la musica ad esempio, produce una domanda, che è la tonalità, e si sviluppa cercando di dargli una risposta. Questa risposta è però costantemente rimandata, c'è sempre un'attesa verso la soluzione sulla tonica. Così è per la letteratura e per il cinema di genere: nei gialli sappiamo già che l'investigatore troverà l'assassino». Questa “struttura dell'attesa”, secondo Volli, è caratteristica di tutte le forme dell'intrattenimento della cultura europea.

Non ci resta quindi che ammazzare il tempo riguardandoci “Ritorno al futuro”.

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