Far dialogare due tempi, superare il filtro mozartiano e mettere in scena un classico sconosciuto come La folle giornata o Il matrimonio di Figaro, per Claudio Longhi non è stato facile. Per riuscirci si è fatto aiutare proprio dalle arie di Mozart, che in scena facevano intuire quello che il libretto dapontiano ometteva. Un lavoro simile nel ‘900? Arancia meccanica. Il film cult di Kubrik è diventata allora la chiave di lettura del passaggio dal ‘700 al ‘900, perché è modello narrativo di una violenza inusitata e perché della musica di Purcel ha fatto un uso straordinario. Altro problema è stato trovare un marcatore di scena che identificasse servi e padroni. La scelta è ricaduta sulla recitazione, perché non potevano essere i costumi: «Csaba mi ha convinto che nel mondo di oggi la distinzione di classe non passa attraverso l’abbigliamento, chiunque può permettersi Prada, perlomeno taroccata. Poi Csaba avrebbe voluto andare oltre e portare sulla scena una sfilata di attori nudi, come in Prêt à porter di Altman. Ma non ho voluto spingermi a tanto». Radicalizzare per raggiungere lo spettatore sì, ma non troppo.
pubblicato su Apart #3/07
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27 ottobre 2007
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